Carnevale nel Cilento, riti e significati che si incontrano e scontrano

In Cilento il carnevale è vissuto secondo canoni antichi. Rappresenta, per certi versi, il periodo di mezzo tra il Natale e la Pasqua e racchiude significati ben pi profondi di quelli oggi percepiti. Dunque, al contrario di quanto si possa pensare, il carnevale ha un profondo legame con il mondo cattolico e in particolare proprio nel Cilento, dove emerge una lunga tradizione testimoniata dalla letteratura popolare.

Carnevale nel Cilento: i tempi e lo spazio

Nel Cilento, convenzionalmente, il periodo dedicato al carnevale si apre il 17 gennaio, giorno in cui si ricorda Sant’Antonio Abate, spesso accostato, per antica tradizione alle maschere ed ai campanacci: Sant’Antuono mascare e suoni. Inoltre, essendo protettore in ambito domestico, è un Santo molto amato: l’accensione dei falò, la benedizione dei campi, degli animali e dei pani, ne confermano l’assoluta popolarità.

Carnevale nel Cilento
Carnevale nel Cilento (foto Giuseppe Conte)

Ed è proprio in questa fase che si riscontra un primo legame tra sacro e profano, il quale – con molta probabilità – costituisce l’inizio di quel connubio indissolubile che ci condurrà fino alla Pasqua. Il carnevale, che trae i natali da questi canoni, dunque, ha una durata variabile mentre la Quaresima resta confinata nei suoi quaranta giorni. Il carnevale termina con il ‘martedì grasso’; vale a dire il giorno che precede il ‘mercoledì delle ceneri’ e dunque l’inizio della Quaresima.

Carnevale nel Cilento: la personificazione

Il carnevale emerge in modo significativo nell’interpretazione del Cilento: diventa Carnuluvaro e in tempi più arcaici ‘Vavo’. La figura, dall’aspetto goffo e vestito a mo’ di straccione – secondo l’immaginario collettivo -, si contrappone alla cupa e scura Quarajesima, sua vedova; quest’ultima reca tra le mani il fuso e la conocchia (strumenti per filare). I due personaggi sono senza dubbio l’eredità più profonda di un vissuto fortemente ancorato al ciclo della vita. Essi, antitesi l’uno dell’altro possono identificare molteplici aspetti all’opposto tra loro: l’inverno e la primavera o il male e il bene. Resta centrale il ruolo del vecchio e del nuovo, calcato sull’esigenza di ‘personificare’, per l’appunto il periodo grasso e il periodo di magra, ponendo in essere lo scambio tra il carnevale e la quaresima.

Il carnevale nella letteratura popolare

Nell’espressività cilentana, il carnevale assume i suoi connotati letterari attraverso alcuni semplici stornelli ormai quasi perduti finanche nella memoria. È il caso di questi pochi versi raccolti da me personalmente dalla tradizione orale di Ostigliano. Il versetto (qui incompleto) recita: Carnuluvaro mio chino re ‘nnoglie, oj maccaruni e rimani foglie. Il significato letterale è facilmente rintracciabile così come si evince agevolmente il senso metaforico. La traduzione, dunque, non lascia dubbio alcuno: carnevale mio pieno di noglie (salume tipico, ndr) oggi pasta e domani foglie.

Carnevale nel Cilento - carne al sugo (foto Giuseppe Conte)
Carnevale nel Cilento – carne al sugo (foto Giuseppe Conte)

Tralasciando la forma, invece, ecco il palese significato; facendo chiaramente riferimento alla fine del periodo del carnevale e all’inizio di quello successivo dedicato alla Quaresima, pone il confine socio-culturale tra il periodo ‘grasso’ e il periodo di ‘magra’. Mentre nel primo (segnato dall’abbondanza) era concesso l’uso delle carni e di ogni cibo superfluo, nel secondo si escludeva dall’alimentazione ogni eccesso che poteva giungere fino alla privazione.

(… questo mio viaggio continua nei prossimi giorni, a presto!)

Pubblicato da Giuseppe Conte

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