Con questo articolo inizia il mio viaggio nella Settimana Santa del Cilento. Dai parmarieddi al suono della troccana: è questo il sunto di una densa devozione. Dalla gastronomia al suono stridente della ‘taroccola’, l’unico strumento concesso dalla morte di Gesù alla sua Resurrezione, quando, le campane, per rispetto erano rigorosamente legate. Se vi va, seguitemi, e vi racconterò la straordinaria ricchezza culturale di questa magnifica terra.
La Domenica delle Palme: la simbologia cristiana attraverso la cucina tradizionale
Nella Domenica delle Palme la consueta benedizione dei rami d’ulivo è spesso affiancata da significative preparazioni culinarie. Tradizioni assolutamente identificative: i caratteristici parmarieddi sono un tipo di pasta ottenuta con l’incavatura di piccole parti di impasto con il solo ausilio delle dita della mano ad eccezione del pollice. Secondo l’accostamento popolare, quando più lungo sarà un parmarieddo più generosa sarà la spiga di grano nel prossimo raccolto. Fin da questi primi passaggi emerge l’essenza interiore del Cilento e dei cilentani che attraverso gesti ‘rituali’ ed inconsci, riportano alla luce una tradizione probabilmente secolare.
È evidente, dunque, uno stretto legame tra la sfera contadina e quella religiosa che, in questo caso, si addensa nell’onomastica: i parmarieddi traggono la loro etimologia dall’insieme di un triplice valore simbolico: ‘il palmo’ della mano che lavora l’impasto, ‘il palmo’ come unità di misura del grano e il ramo d’ulivo utilizzato come ‘palma’ per la benedizione.
Il Giovedì Santo: i germogli di grano
Il Giovedì che precede la Pasqua si allestiscono i Sepolcri. Dopo la celebrazione della Santa Messa, che ricorda l’ultima cena, l’altare è denudato, privato di ogni ornamento. Nell’aria si condensa un sentimento di profonda spiritualità: presagio dell’atmosfera luttuosa che accompagnerà le ore seguenti. In passato anche le statue venivano velate; la chiesa diventava vuota e cupa, preparandosi a vegliare quel Cristo che nel Venerdì troverà la morte.
Fin dal primo giorno di Quaresima si mettono a dimora i chicchi di grano; diventeranno candidi germogli bianchi. Saranno posti ai piedi dell’Altare della Reposizione. Fino alla prima metà del secolo scorso, una comune tradizione poneva in essere la ‘cena dei poveri’. Alcune comunità offrivano ristoro ai più bisognosi, seguendo, in tal modo, l’esempio di Gesù. Se ne conserva ormai traccia solo tra le pagine ingiallite di qualche testo o tra le memorie dei più anziani.
Le congree: espressione della pietà popolare
Radicate nella cultura dei villaggi orbitanti intorno al Monte della Stella, le congree animano la spiritualità più profonda che accompagna la Passione di Cristo. Nel Venerdì che precede la Pasqua compiono ‘un circuito di pellegrinaggi’: ogni paese ha la sua congrega che, per l’occasione, compie un percorso ad anello intorno alla montagna. Visitando i Sepolcri dei paesi vicini, negli anni tocca gli Altari di una trentina di comunità.
Oggi, il rituale espresso dai cantori che eseguono i loro ‘tristi lamenti’, non sempre prevede ‘nove tappe’ come da antica tradizione ma rimane nel vivo del folklore cilentano. Fascino e mistero si cela nel significato della loro nascita: le congree hanno un’origine non nota del tutto, eredità sacra e culturale di un mondo che arriva da un tempo relativamente lontano. Ed oggi, pur nella loro anonima interpretazione, rivivono con intensità la morte di Gesù, trasmettendo un phatos che crea profonda commozione.