Scauratieddi, storia e tradizione

Gli scauratieddi sono fra le preparazioni gastronomiche più tipiche del Cilento e, soprattutto, vantano una lunga storia. Seconda la tradizione, venivano portati in tavola già all’epoca in cui i coloni greci sbarcarono sulle nostre coste. Probabilmente all’epoca avevano un significato ben preciso mentre quello che a noi resta, è una ricca eredità culturale ma anche simbolica, seppur la componente gastronomica abbia preso il sopravvento ed oggi ci restituisce una tipicità locale. Rimane comunque legata alla sfera propiziatoria, trasbordando tuttavia in un legame socio-culturale ancorato al Natale.

Mentre in passato erano un classico della vigilia, oggi, invece, ben si prestano ad ogni domenica di dicembre. Gli ‘scauratieddi’, come abbiamo anticipato, sono un dolce antichissimo carico di significati: sarebbe, dunque, estremamente riduttivo parlare di una ricetta. È così che iniziava il Natale in Cilento, sulle tavole e e nell’immaginario collettivo.

Serve passione e semplicità, conoscenza e buon sapere per realizzarli al meglio. Le brave donne del Cilento ben conoscono questo rito ed accompagnano la preparazione quasi con estrema devozione.

Il Cilento è composto da tante piccole comunità e, come nella lingua e nella storia, anche le usanze e le preparazioni possono subire lievi scostamenti ma non per gli ‘scauratieddi’: sono chiusi a mezzo fiocco e rappresentano la salubrità del Cilento! In origine, invece, la forma pare indicare l’Alfa e l’Omega richiamando la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, probabilmente in riferimento alla fine ed all’inizio dell’anno o, ancora più verosimilmente puntando verso i cicli produttivi.

Nell’onomastica convive con la forma ‘scauratielli’ seppur il passaggio da ‘ll’ latino a ‘dd’ è ormai quasi impercettibile.

Ma narriamo la ricetta… perché una descrizione in questo caso sarebbe assolutamente azzardata.

Il fuoco scoppietta ed è tempo di agire. In pentola mettiamo un litro d’acqua, aggiungendo mezzo bicchiere di olio (ai giorni nostri extravergine di oliva) e, volendo mezzo di vino. Di un’arancia, un limone ed un mandarino grattugiamo quasi tutta la buccia; la restante la uniremo intera. Ora una manciata di sale e zucchero (non più di un cucchiaino). Infine, tassello fondamentale, un rametto di rosmarino: conferisce un aroma unico e sarà la nostra sentinella. Accanto al focolare attendiamo il bollore: un delicato e dolce profumo si diffonde nell’aria. Il rosmarino inizia ad appassire? Siamo al punto giusto, lo togliamo dall’acqua insieme alle bucce intere. A fuoco basso aggiungiamo in un sol colpo un kg di farina 00 e mescoliamo energicamente con un cucchiaio di legno. Appena l’impasto si stacca dalla pentola, vuol dire che abbiamo raggiunto l’obiettivo. Prendiamo il panetto e lo disponiamo su un piano: il classico ‘scannaturo’ è l’ideale! Per facilitarci nelle operazioni successive ungiamo il piano di lavoro con un filo di olio. Ad impasto caldo e con una certa maestria prendiamo piccoli pezzi di pasta e formiamo dei cilindri che chiuderemo a mezzo fiocco o secondo la fantasia. Disponiamoli su un panno asciutto e, terminata questa operazione, passiamo alla frittura. Abbondante olio in un ampia padella e iniziamo la cottura. Giunte a doratura le disponiamo in una casseruola, in attesa della mielatura. È un’operazione tutta ‘cilentana’: sciogliamo leggermente sul fuoco un buon miele nostrano e indoriamo le nostre zeppole. Decoriamo con ‘diavolini’ o scorzette di agrumi; una buona alternativa è un mix di zucchero e cannella anche se non fa parte della tradizione. E prima di servire? Nel piatto da portata non può mancare un rametto di rosmarino.

Si respira aria di tradizione, ha inizio l’attesa del Natale in Cilento…

Pubblicato da Giuseppe Conte

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