Parmarieddi, le sorti del grano secondo antiche credenze popolari

La ‘Domenica delle Palme’ ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme: in sella ad un asino è accolto con lo sventolio di rami di palma, sostituiti nel tempo, dai rami d’ulivo, simbolo di pace per eccellenza. Al termine delle celebrazioni, i fedeli portano a casa i ramoscelli benedetti: per antica tradizione essi verranno posti non solo tra le mura domestiche bensì appesi tra le vigne, gli ulivi e i campi; in tal modo si affidava il raccolto alla fede. È qui che il simbolismo cristiano entra in scena e, ancora sopravvive l’usanza di preparare i ‘parmarieddi’ in questo giorno.

Secondo la tradizione quanto più lungo sarà il parmarieddo tanto più prospera sarà la spiga nel prossimo raccolto. I ‘parmarieddi’ sono un particolare tipo di pasta ottenuto con una sapiente lavorazione che prevede l’incavatura di piccole parti di impasto con tutte le dita della mano ad eccezione del pollice. Il legame, come pure il significato, tra la sfera civile e quella religiosa si addensa nell’onomastica: i parmarieddi traggono etimologia dall’insieme di un triplice valore simbolico: ‘il palmo’ della mano che lavora l’impasto, ‘il palmo’ come unità di misura del grano e il ramo d’ulivo utilizzato come ‘palma’ per la benedizione.

Negli anni, facendo alcune sporadiche ricerche, emerge l’usanza maggiormente presente nella zona interna dell’odierno Cilento. Fra i centri intorno al Monte Cervati e in particolare a Piaggine, si nota una più diffusa preparazione probabilmente legata alle diverse varietà di grano che nei campi qui si coltivavano.

 

Pubblicato da Giuseppe Conte

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