Cilento, la Candelora ai confini tra cristianità e paganesimo

Nel giorno comunemente noto come Candelora si ricorda la ‘Presentazione al Tempio di Gesù’: il nome voluto nel linguaggio popolare calca l’usanza di benedire le candele in tale occasione. Dopo il rituale, è tradizione portare a casa un cero: servirà da ‘amuleto’ per la protezione domestica e, in particolare, per scongiurare carestie garantendosi un buon raccolto nei mesi a seguire. Tuttavia, pur essendo ormai condivisa pienamente nell’ottica cristiana, è bene ricordare che la candelora trae origine da precetti pagani e legati dapprima al mondo agreste. Ciò giustifica il legame meterologico espresso dalla proverbialità.

Nei tempi passati era considerata il confine immaginario tra l’inverno e la primavera e nonostante la cadenza rientri nel bel mezzo della stagione fredda, il 2 febbraio rappresentava l’arrivo della stagione della semina: non a caso il giorno seguente, San Biagio, si benedivano le sementi e con l’arrivo delle Ceneri si organizzavano i primi semenzai, ponendo una data importante nel calendario agrario.

Restiamo nella sfera agro-pastorale per rintracciare nella sua interezza la nota proverbialità che recita quanno vene la Cannelora ra vierno simo fora ma si chiove o mena viendo quaranda juorni re maletiembo, alludendo alle condizioni meteorologiche in un periodo che cela condizioni climatiche altalenanti secondo le annate. E dunque, l’inverno cessa se il tempo è mite oppure va avanti per altri quaranta giorni, richiamando, questa volta la sola componente cristiana, riconoscendo nei ‘quaranta giorni’ il tempo trascorso dal Natale. In origine, invece, quella che era chiamata la ‘Purificazione della Beata Vergine Maria’, cadeva il 14 febbraio,vale a dire quaranta giorni dopo l’Epifania.

È evidente che i fondamenti logici rintracciabili nelle pretese del detto popolare non hanno alcuna conferma. A contrastarne la veridicità, inoltre, è la stessa proverbialità che, talvolta s’inclina e sfuma in varianti del tutto opposte si chiove a Cannelora ra lu vierno simo fora ma si neveca o mena viendo quaranda juori re maletiembo. E ancora, ad alimentare la dubbiosa suggestione è la convivenza delle due varianti nello stesso contesto sia in termini di spazio sia in termini di tempo: nel Cilento, in particolare, le alternative convivono del tutto armoniosamente, lasciando ben intendere il solo valore metaforico. La ‘Cannelora’ e ‘Santo Jasi’, come ‘la Befania’ esprimono la loro personificazione in la Befania ogni festa porta via; responne la Cannelora: nge so io angora. Dal Cilento e nella panoramica partenopea a Cannelora Vierno è fora! responne San Biase: Viern mo’ trase! Rice la vecchia rinta la tana: nce vole nata quarantana! Canta lu monaco rinda lu refettorio: tanno è estate quanno è Sant’Antonio! La disamina di queste catene, seppur in modo superficiale, mostra le disparità che emergono nella semplicità del linguaggio comune ma come storica espressione della cultura popolare…

Pubblicato da Giuseppe Conte

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