Alessandria del Carretto, l’antico ‘carnevale’

Alessandria del Carretto (CS), il paese più alto dello Ionio Cosentino, è custode di antiche tradizioni. La festa della pitë, unitamente a Sant’Alessandro, esprime la popolarità di vecchie usanze, fiorite in un contesto sociale caratterizzato da un grande senso di appartenenza. Il ballo delle cénte, poi, in occasione della Madonna del Carmine, ancora una volta mostra il volto di una intensa devozione maturata nel corso del tempo. Ma è il carnevale alessandrino a caratterizzare l’essenza più intensa del folklore di questa piccola comunità, arroccata sul confine lucano, nei pressi del Monte Sparviere nel Parco Nazionale del Pollino.

Il carnevale, ben radicato nella penisola italiana, si manifesta nelle forme più diverse. Generalizzati e, talvolta, soffocati dalla modernità, non sempre mantengono i ritmi imposti dalla tradizione. Alessandria del Carretto può ritenersi fuori da queste accezioni, mantenendo lo stesso spirito aggregativo esistito da sempre. È, dunque, un caso anomalo il carnevale alessandrino, raro esempio di integrità sociale ed antropologica che ruota intorno a suggestioni dal sapore antico.

La sonorità delle Polecenelle bielle si esprime, dapprima con semplicità, sobrietà ed eleganza; pantaloni bianchi, camice chiare e, soprattutto, la tipica maschera che ritrae un volto roseo ed anonimo. L’identità dell’indossatore, è completamente celata nel vestiario, sapientemente costruito introno ad una figura che, al contempo, esprime saggezza ed inquietudine, pur volta, di fatto, nell’intento di animare e rivitalizzare. Il ‘cappelletto’ che completa il vestiario, tralascia la sobrietà anticipata poc’anzi e restituisce un artificioso manufatto ornato di nastri colorati, piume, coccarde e medaglie, segni indelebili, ancora una volta, che ricalcano la straordinarietà espressiva del carnevale alessandrino. Le Polecenelle brutte, come ci ricorda il nome, non brillano di certo per narcisismo (maschere più semplici) ma, con la stessa sobrietà delle belle, sono parte integrante della scena, seppur non si scontrano mai.

Con il volto annerito dalla fuliggine, ecco l’Ursë, l’opposto della bellezza visiva, che viene personificato con grandi corna e stridenti campanacci che accerchiano la cintura posta in vita. Infine, merita attenzione Coremmë, la personificazione della Quaresima, figura molto importante nel carnevale popolare delle piccole comunità del Sud. La sua presenza sulla scena ha un significato ben preciso: chiuderà il carnevale e annuncia l’arrivo della Quaresima.

L’insieme dei personaggi, caratterizza e modella uno degli appuntamenti più antichi del carnevale calabrese, soggiornando inevitabilmente nell’immensità del patrimonio culturale di una magica terra.

Pubblicato da Giuseppe Conte

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